Sciopero alla rovescia: il precedente italiano

Raffaello Saffioti

Traduction de Jean Tonglet

Traduction(s) :
Grève à l’envers : le précédent italien

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Raffaello Saffioti, « Sciopero alla rovescia: il precedente italiano », Revue Quart Monde [En ligne], 261 | 2022/1, mis en ligne le 01 septembre 2022, consulté le 19 avril 2024. URL : https://www.revue-quartmonde.org/10913

Ogni anno, da sei anni, in Francia viene organizzato un evento simbolico chiamato "sciopero della disoccupazione", in collaborazione con l'associazione nazionale TZCLD. Quando i dipendenti non sono soddisfatti delle loro condizioni di lavoro, scioperano. Allo stesso modo, quando i disoccupati permanenti sono insoddisfatti della mancanza di lavoro, fanno uno sciopero della disoccupazione. Questo evento annuale ha lo scopo di allertare e mobilitare contro la disoccupazione e di rivendicare il diritto al lavoro per tutti, sancito dalla Costituzione francese. In questo giorno, i partecipanti svolgono un lavoro utile per la società, ma che non è stato realizzato. Questa idea era stata attuata in Italia nel 1956. L'autore, aggiornando un articolo pubblicato1 dal quotidiano online Il dialogo nel novembre 2014 con il titolo "Lo storico 'sciopero alla rovescia' di Danilo Dolci (1956)", sottolinea il carattere profetico e attuale di questa iniziativa.

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Lo “sciopero alla rovescia” di Danilo Dolci2 del 1956 deve essere ricordato nel tempo che stiamo vivendo per la sua attualità e profezia.L’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana, nel primo comma, recita:“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.L’articolo 4, nel primo comma, recita:“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Vasta è la bibliografia che documenta lo “sciopero alla rovescia”. Fondamentale è il libro Processo all’articolo 4, pubblicato da Einaudi nel 1956. Una nuova pubblicazione è dell’editore Sellerio, di Palermo, del 2011.

Non garantire un lavoro si può considerare come un omicidio...

Nel primo risvolto di copertina di questa edizione si legge: “Il 2 febbraio 1956 Danilo Dolci veniva arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria. Al commissario di polizia che era intervenuto per interrompere quello “sciopero alla rovescia”, come venne chiamato, Dolci rispose che “il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere: che sarebbe stato, era ovvio, un assassinio non garantire alle persone un lavoro, secondo lo spirito della Costituzione”. L’accusa era di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale e a Dolci e ai suoi venne negata la libertà provvisoria. L’opinione pubblica allora si mobilitò contro la polizia e il governo Tambroni, deputati e senatori intervennero con interrogazioni parlamentari, le voci più influenti del paese si schierarono a fianco di Dolci. Ciò che avvenne intorno allo sciopero alla rovescia di Trazzera vecchia, nelle piazze, nelle camere di polizia, sui giornali, nei tribunali, fu lo scontro sui modi opposti di considerare la legalità in Italia: la Costituzione, come regola vivente dei cittadini, contro la pratica dell’autoritarismo gerarchico, eredità fascista. Da qui il titolo del libro, che significava che le autorità trascinavano alla sbarra, non tanto il gruppo dei manifestanti, quanto la Costituzione stessa”.

Dal risvolto di quarta di copertina: “Pubblicato nello stesso 1956, pochi mesi dopo la condanna di Dolci, Processo all’articolo 4, in quanto cronaca, è un documento prezioso per capire quanto fosse incredibilmente tribolata la strada per affermare la democrazia repubblicana in Italia. Per riflettere su dove saremmo oggi, senza “ribellioni” e “ribelli”.”

Le sfide fondamentali in gioco in questo processo

Per identificarle, facciamo riferimento all’arringa dell’avvocato Piero Calamandrei 3: “… Questo non è un processo «comunissimo»: è un processo eccezionale, superlativamente straordinario, assurdo. Questo non è neanche un processo: è un apologo.… Per renderci conto con distaccata comprensione storica della eccezionalità e assurdità di questo processo, bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà, di qui a cinquanta o a cento anni, agli occhi di uno studioso di storia giudiziaria al quale possa per avventura venire in mente di ricercare nella polvere degli archivi gli incartamenti di questo processo, per riportare in luce storicamente, liberandolo dalle formule giuridiche, il significato umano e sociale di questa vicenda.

… Al centro di questa vicenda giudiziaria c’è, come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico.

E’, tradotto in cruda prosa di cronaca giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle «leggi non scritte» che preannunciano l’avvenire.

… Chi dei due interlocutori ha ragione?

… La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunciatrici del futuro: «pari dignità sociale»; «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana»; «Repubblica fondata sul lavoro»; «diritto al lavoro»; «condizioni che rendano effettivo questo diritto»; assicurata ad ogni lavoratore e alla sua famiglia «una esistenza libera e dignitosa» …

… Signori Giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così.

Ricordate le parole immortali di Socrate nel carcere di Atene? Parla delle leggi come di persone vive, come di persone di conoscenza: «Le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano». Perché le leggi della città possano parlare alle nostre coscienze, bisogna che siano, come quelle di Socrate, le «nostre leggi».

… Il carattere singolare ed esemplare di Danilo Dolci è proprio qui: di questo uomo di cultura, che per manifestare la sua solidarietà ai poveri non si è accontentato della parola parlata o scritta, dei comizi, degli ordini del giorno e dei messaggi; ma ha voluto vivere la loro vita, soffrire la loro fame, dividere il loro giaciglio, scendere nella loro forzata abiezione per aiutarli a ritrovare e a reclamare la loro dignità e la loro redenzione.

Questa è la singolarità di Danilo: qualcuno potrebbe dire l’eroismo; qualcun altro potrebbe anche essere tentato di dire la santità.

… L’eroismo di Danilo è questo: dove più la miseria soffocava la dignità umana, egli ha voluto mescolarsi con loro e confortarli non coi messaggi ma colla sua presenza; diventare uno di loro, dividere con loro il suo pane e il suo mantello, e chiedere in cambio ai suoi compagni una delle loro pale e un po’ di fame.

Questo intellettuale triestino, che se avesse voluto avrebbe potuto costruirsi in breve, coi guadagni del suo lavoro di artista, una vita brillante e comoda in qualche grande città e una casa ricca di quadri e di libri, è andato a esiliarsi a Partinico, nel povero paese rimasto impresso nei suoi ricordi di bambino, e si è fatto pescatore affamato e spalatore della trazzera per far intendere a questi diseredati, colla eloquenza dei fatti, che la cultura è accanto a loro, che la sorte della nostra cultura è la loro sorte, che siamo, scrittori e pescatori e sterratori, tutti cittadini dello stesso popolo, tutti uomini della stessa carne.

Egli ha fatto quello che nessuno di noi aveva saputo fare. Per questo sono venuti qui da tutta Italia gli uomini di cultura a ringraziarlo: a ringraziarlo di questo esempio, di questo riscatto operato da lui, agnus qui tollit peccata di una cultura fino a ieri immemore dei suoi doveri.

… Questa non è la causa di Danilo; e neanche di Partinico; e neanche della Sicilia. E’ la causa del nostro Paese: del nostro Paese da redimere e da bonificare”.

Un evento storico di grande attualità

La vicenda storica dello “sciopero alla rovescia” è da attualizzare, anche alla luce della Scuola per la Costituzione della Terra, inaugurata a Roma, nella Biblioteca Vallicelliana, il 21 febbraio 20204.

Stiamo vivendo il tempo della pandemia da coronavirus a livello globale, con il bisogno di difenderci dal pericolo del contagio. E’ un tempo di cambiamenti e c’è da pensare che dopo la fine della pandemia tutto non potrà ritornare come prima. Dobbiamo cambiare il modo di pensare e di vivere. Di fronte ai cambiamenti non possiamo restare indifferenti o neutrali. La pandemia ci ha costretti a cambiare il nostro stile di vita. Abbiamo bisogno di riflettere sul senso della vita e della morte, sulle relazioni umane, sull’organizzazione della società e sul rapporto con la natura.

Sono trascorsi oltre sessantacinque anni dallo “sciopero alla rovescia” e l’Italia e il mondo sono cambiati. Molta acqua è passata sott i ponti della storia e il problema della disoccupazione rimane di drammatica attualità.

Oggi non solo una strada comunale è dissestata, ma anche il territorio nazionale ed è cronica la denuncia del dissesto idrogeologico. E’ l’incuria degli uomini a fare violenza al territorio.

Disoccupazione, fame, miseria non possono essere comprese da chi non le vive.

Dolci è vivo e continua a interrogarci con la “maieutica reciproca”: provoca la coscienza di ciascuno, di tutti e anche le istituzioni.

1 L’autore ha ripreso per la Revue Quart Monde i punti principali del suo articolo uscito su la rivista on line Il Dialogo, https://www.ildialogo.org/

2 Su Danilo Dolci, vedere l’articolo di Gianni Restivo nel n° 224 della Revue Quart Monde, https://www.revue-quartmonde.org/5472

3 Da: Danilo Dolci, Processo all’articolo 4, Sellerio editore, Palermo, 2011: pp. 297, 305-306, 308-309, 314, 315-316, 318.

4 https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/autorivari_1582580188.htm

1 L’autore ha ripreso per la Revue Quart Monde i punti principali del suo articolo uscito su la rivista on line Il Dialogo, https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/autorivari_1417122133.htm

2 Su Danilo Dolci, vedere l’articolo di Gianni Restivo nel n° 224 della Revue Quart Monde, https://www.revue-quartmonde.org/5472

3 Da: Danilo Dolci, Processo all’articolo 4, Sellerio editore, Palermo, 2011: pp. 297, 305-306, 308-309, 314, 315-316, 318.

4 https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/autorivari_1582580188.htm

Jean Tonglet

Attivista per la pace e la nonviolenza, insegnante, giornalista e autore di diversi libri, collabora con il Centro Gandhi di Palmi, in Calabria, e con la rivista online Il Dialogo. Si è dedicato allo studio del pensiero di Danilo Dolci, il "Gandhi siciliano", e di cui prosegue l'opera.

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