C’è un luogo in Italia dove la terra arde non per il calore del sole ma per i rifiuti che bruciano da decenni. È la Terra dei Fuochi, una vasta area tra le province di Napoli e Caserta diventata simbolo di uno dei più gravi disastri ambientali e sanitari d’Europa. Un dramma annunciato, denunciato ma sistematicamente ignorato. Un crimine complesso che ha prodotto devastazione, dolore e morte. Il 30 gennaio 2025, finalmente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato voce alle vittime, riconoscendo la responsabilità dello Stato italiano per la mancata protezione della vita dei suoi cittadini.
donné la parole aux victimes, en reconnaissant la responsabilité de l’État italien pour son incapacité à protéger la vie de ses citoyens1.
Le origini del disastro
Il termine “Terra dei Fuochi” compare per la prima volta nel 2003 in un rapporto di Legambiente ma il fenomeno ha radici molto più antiche. Già negli anni ’80 la criminalità organizzata, in particolare la camorra, iniziava a gestire in modo illecito il traffico di rifiuti tossici, provenienti anche dal Nord Italia e dall’estero, seppellendoli o incendiandoli nei campi agricoli della Campania. Interramenti profondi, spesso fino alle falde acquifere, e roghi notturni che sprigionavano nell’aria diossine, metalli pesanti e sostanze cancerogene.
Le prime commissioni parlamentari d’inchiesta iniziarono a lavorare negli anni ’90, denunciando con sempre maggiore chiarezza l’enorme quantità di discariche abusive, il coinvolgimento della criminalità organizzata, la totale assenza di piani di bonifica e l’aumento allarmante dei tumori in intere comunità. Ma, nonostante gli allarmi, le inchieste e le proteste, nulla cambiava davvero.
Un dramma sociale e sanitario
La zona definita legalmente “Terra dei Fuochi” comprende oggi 90 comuni e circa 2,9 milioni di abitanti, pari al 52% dell’intera popolazione della Campania. Molti studi epidemiologici — tra cui quelli dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’US Navy — hanno confermato nel tempo una correlazione tra la diffusione delle discariche abusive e l’aumento dei tumori, malformazioni neonatali e malattie respiratorie. In alcuni comuni i livelli di diossina nel terreno e negli alimenti risultavano enormemente oltre i limiti di legge.
Il territorio è stato letteralmente avvelenato: l’ambiente, l’agricoltura, l’acqua, l’aria, il corpo umano. Chi è cresciuto lì conosce bene la paura del fumo nero, la puzza acre che invadeva le case, il dolore delle famiglie colpite da lutti inspiegabili, troppo frequenti per essere casuali.
Per anni, in questa terra avvelenata, la verità è stata sepolta insieme ai rifiuti. La situazione delle persone che vivono nella Terra dei Fuochi è stata – ed è ancora – profondamente drammatica. Ma non solo per l’inquinamento, per i tumori, per l’aria irrespirabile o per le falde contaminate. La ferita più profonda è stata quella del silenzio e, soprattutto, della negazione.
Le istituzioni hanno per troppo tempo voltato lo sguardo. Hanno minimizzato, ignorato, negato. Negato ciò che invece migliaia di famiglie vedevano con i propri occhi, sentivano nel proprio cuore, affrontavano nel corpo dei propri figli. Le madri portavano i bambini negli ospedali oncologici di tutta Italia. Le corsie dei reparti pediatrici si riempivano di piccoli pazienti provenienti da Casalnuovo, da Giugliano, da Acerra, da Marcianise . E troppe volte le bare erano bianche.
In quei silenzi istituzionali si è consumato un doppio trauma. Non solo il dolore immenso della perdita ma anche la frustrazione lacerante di non essere creduti. Di essere trattati come visionari, come allarmisti, come strumenti di propaganda. Ma la gente lo sapeva. Lo sentiva nella pelle. Lo vedeva negli occhi di chi non ce l’aveva fatta. C’era una tragedia in corso. E lo Stato non solo non faceva nulla: lo negava.
Da quel vuoto è nata una reazione. Le persone si sono guardate, si sono strette, si sono unite. Sono nati comitati, gruppi spontanei, associazioni, incontri pubblici. Uno dei fari di questa battaglia è stato don Maurizio Patriciello, parroco del Parco Verde di Caivano, voce profetica che ha saputo usare la parola come strumento di giustizia. Don Maurizio ha alzato la voce nelle piazze, nei media, nei social network. Ha dato un volto umano e credibile a un dramma collettivo.
Grazie a lui e a tanti altri, la consapevolezza si è diffusa. In tutta Italia si è iniziato a parlare della Terra dei Fuochi non solo come un fatto di cronaca, ma come una ferita morale del Paese. Si sono organizzati convegni, proposte di legge, dibattiti pubblici, raccolte dati, denunce. La società civile ha fatto ciò che lo Stato avrebbe dovuto fare: indagare, proteggere, denunciare.
Poi è arrivata un’idea. Un’intuizione che nasceva dal dolore, ma guardava alla giustizia: portare il caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Per la prima volta, si decideva di alzare il livello della battaglia: dal piano locale a quello internazionale.
Settantuno ricorrenti si sono uniti: persone malate, familiari di vittime, cittadini impegnati, associazioni. Uomini e donne che non volevano vendetta, ma dignità. Che non cercavano soldi, ma riconoscimento. Che chiedevano solo che la verità venisse finalmente detta, nero su bianco.
Personalmente sono stato tra gli avvocati che hanno curato questi ricorsi per ottenere giustizia e verità e quella verità è arrivata il 30 gennaio 2025, con una storica sentenza della Corte EDU che ha condannato l’Italia per violazione del diritto alla vita. La Corte ha riconosciuto che lo Stato non ha protetto i suoi cittadini, nonostante conoscesse la gravità della situazione. Ha riconosciuto che la mancata azione ha messo in pericolo la salute pubblica. Ha imposto allo Stato misure concrete da adottare entro due anni.
Questa sentenza non riporta indietro chi è morto. Non restituisce il respiro a chi ha respirato veleni. Ma restituisce verità a chi per anni ha vissuto nella menzogna. E apre uno spiraglio di giustizia per le generazioni future.
La Terra dei Fuochi è stata tradita. Ma non è stata vinta. Grazie al coraggio di chi ha scelto di parlare, di denunciare, di unirsi, oggi quella terra torna a farsi ascoltare. E quella voce, finalmente, risuona anche nelle aule di giustizia d’Europa.
L’inazione dello Stato
Nonostante i numerosi rapporti ufficiali e le denunce diffuse l’Italia ha sistematicamente ignorato il suo dovere di protezione. La normativa ambientale era debole, le sanzioni inefficaci, la bonifica quasi inesistente e i reati ambientali venivano spesso classificati come semplici contravvenzioni. Il traffico illecito di rifiuti è rimasto per anni un affare lucrativo, gestito da consorzi opachi e alimentato dalla connivenza tra pubblici amministratori e gruppi criminali.
La popolazione, esasperata, si è organizzata in comitati, associazioni, movimenti civici. Ma solo nel 2013 si è arrivati a una prima risposta istituzionale: il cosiddetto “Decreto Terra dei Fuochi” che introduceva misure di monitoraggio e il reato di combustione illecita di rifiuti. Tuttavia un anno dopo l’entrata in vigore del decreto, le bonifiche erano ancora assenti e i roghi continuavano.
La svolta che cambia tutto: la sentenza della Corte EDU del 30 gennaio 2025
Nel 2014 vennero presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) i ricorsi da parte di cittadini e organizzazioni, denunciando la violazione del diritto alla vita e alla salute (art. 2 CEDU). Dopo più di dieci anni di causa il 30 gennaio 2025 è arrivata la sentenza che ha cambiato tutto: la Corte ha condannato l’Italia per non aver adottato misure adeguate a proteggere la vita dei cittadini delle zone colpite.
La Corte ha stabilito che:
l’Italia deve attuare entro due anni misure generali di sistema: una strategia globale, un monitoraggio indipendente, una piattaforma pubblica informativa.
Per la prima volta, un tribunale internazionale ha riconosciuto ufficialmente la responsabilità statale per un crimine ambientale sistemico e strutturale. È una sentenza pilota, che potrà essere invocata da altri cittadini in situazioni analoghe.
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esiste un rischio “grave, reale e accertabile” per la salute delle persone a causa dell’inquinamento della Terra dei Fuochi;
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le autorità italiane non hanno agito con la dovuta diligenza nonostante conoscessero da anni la gravità della situazione;
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non è sufficiente la mancanza di certezze scientifiche assolute per esimersi dall’obbligo di protezione;
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l’Italia deve attuare entro due anni misure generali di sistema: una strategia globale, un monitoraggio indipendente, una piattaforma pubblica informativa.
Per la prima volta, un tribunale internazionale ha riconosciuto ufficialmente la responsabilità statale per un crimine ambientale sistemico e strutturale. È una sentenza pilota, che potrà essere invocata da altri cittadini in situazioni analoghe.
La portata storica della decisione
Questa pronuncia rappresenta una svolta epocale per il diritto ambientale europeo e per la giustizia ambientale in Italia. La Terra dei Fuochi non è più solo un simbolo del degrado, ma un caso giuridico di riferimento, che impone allo Stato un dovere attivo di protezione della salute e dell’ambiente. Non basta più “fare qualcosa”: è richiesto un intervento strutturale, misurabile, trasparente.
Per chi ha combattuto in questi anni — comitati civici, famiglie, giornalisti, medici, avvocati, associazioni — questa sentenza è una vittoria morale e politica, anche se non cancella il dolore delle perdite e degli anni di silenzio.
E ora?
Il vero banco di prova sarà l’attuazione. Entro il 2027, l’Italia dovrà dimostrare di aver messo in campo una strategia credibile. Ma questa volta il mondo osserva. E forse, grazie a questa sentenza, nessun altro territorio potrà essere trattato come “pattumiera d’Italia”.
La Terra dei Fuochi merita giustizia, bonifica, rinascita. E nessuno più può negare questo dramma.