In tutti gli Stati membri della Comunità europea, vi sono degli uomini senza alcuna qualifica, dei disoccupati di lunga durata. Una disoccupazione per sempre, verrebbe da dire. Molti di essi sono genitori, capi di famiglia. I loro figli sono tra quelli che apprendono meno e che escono talvolta dalla scuola quasi analfabeti. Gli stessi adolescenti non trovano lavoro.
In tutta la Comunità si perpetua così la grande povertà che noi avevamo sperato di veder scomparire. Bambini, giovani,adulti vedono il mondo che cambia. Ci guardano dal fondo delle loro case, delle loro strade dei quartieri mal costruiti e sovrappopolati.
Dipendenti dai nostri sistemi d’assistenza sociale che li aiutano tutt’al più a sopravvivere nella povertà, essi osservano da lontano, in silenzio, le grandi mutazioni. Essi non vi partecipano perché non sono sindacalizzati, né in condizioni di condurre una vita associativa, per far valere i loro interessi. Cittadini liberi, lo sono solo in teoria, rispetto alle Costituzioni, che di fatto restano per loro lettera morta.
Abbiamo finito per renderci conto che la loro grande povertà non è ricomparsa a causa della crisi o delle trasformazioni della vita economica. Trenta anni fa la Comunità l’aveva già segnalata con l’eredità che essa avrebbe inevitabilmente portato per gli anni a venire.
Questa povertà si è sicuramente accentuata ed è divenuta più visibile dopo che gli Stati sono stati costretti a ridurre le spese e a revisionarne le priorità. I più poveri, i meno istruiti, i male alloggiati non sono presi in considerazione da nessuno degli Stati membri.
Inoltre essi pagano per il tipo di economie che cerchiamo di realizzare con nostri sistemi di sicurezza sociale, sistemi che gravano di più sulle famiglie a reddito basso.
Ancora peggio: la maggior parte degli Stati ha escluso quei sistemi che proteggono la dignità dei lavoratori e di coloro che da troppo tempo figurano tra chi cerca lavoro.
Questi sono stati relegati, un po’ ovunque nella Comunità, verso una Europa dell’assistenza dalla quale non si esce facilmente verso l’Europa della partecipazione.
Così sono diventati più evidenti la grande miseria e l’isolamento dei più poveri confinati in una Europa dell’inutilità e della vergogna. Essi esistevano fin dall’inizio e, dall’inizio, i più poveri hanno posto alla Comunità, la questione chiave dei Diritti dell’Uomo.
La questione essenziale non è sapere se noi abbiamo fatto bene ad iniziare a unirci nella vita economica. Non è sapere se domani l’Europa sarà unificata nella difesa o nella sua organizzazione politica. La questione essenziale è quella che dal 1957 pongono le famiglie che si trovano nella grande povertà: che sia economica, sociale, culturale o politica, operiamo per una Europa che sia uguale per tutti i popoli europei? Quali che siano i settori dove essa si unisce, tutti gli europei avranno uguali possibilità di esercitare i loro diritti e le loro responsabilità?
Sappiamo oramai che l’Europa economica non si è ancora realizzata. Cominciare l’unità dall’economia non era disonorante. Eppure queste economie che si aprivano le une alle altre mantenevano in comune la miseria iscritta nella loro struttura, nulla di serio è stato finora intrapreso né per conoscere a fondo, né per sradicare questo vizio fondamentale. Unificare delle economie che escludevano i più poveri, non poteva che dar luogo a un’Europa anch’essa esclusivista, dimentica dei Diritti dell’Uomo.
Noi possiamo pensare che si tratti di una dimenticanza, di ignoranza ma anche, nello stesso tempo, di presunzione. L’Europa non ha valutato. Ha presunto troppo facilmente che poteva, per le sue inconfutabili imprese economiche, vincere il più grave dei flagelli di tutti i tempi: quello della miseria. E’ stato senza dubbio più un difetto di riflessione che una mancanza di buona volontà.
Non possiamo negare che 2000 anni di civiltà cristiana hanno fatto di noi dei popoli che si pongono senza tregua le questioni della giustizia e della pace. Hanno fatto di noi delle nazioni efficienti, sempre desiderose di cambiamento, di progresso, di modernità.
La giustizia, la pace, i diritti inalienabili fanno parte di questa ricerca incessante di modernità anche quando entrano in conflitto con il progresso materiale e l’efficienza tecnologica che noi vorremmo imporre all’umanità per dominare sempre più l’imprevisto che ci rende insicuri. Noi siamo gli eredi di valori che le nostre rivoluzioni politiche e tecnologiche non sembrano poter sradicare. Anche la gioventù del nostro tempo ne è l’erede.
La gioventù, è chiaro, non accetta la fatalità dei mali antichi. Essa rifiuta l’ingiustizia, l’oppressione, la miseria, quasi istintivamente, o in nome di valori dei quali essa conosce male la natura, il contenuto, la storia. E’ infatti evidente che è molto mal istruita sul contenuto e il carattere indivisibile e interdipendente dei Diritti dell’Uomo. Sa molto poco di 2000 anni pensiero, di tentativi, di esperienze di lotta contro una ingiustizia insostenibile: uomini sfigurati dalla loro grande miseria considerati meno di uomini.
E’ l’inganno nel quale siamo caduti di secolo in secolo. Ma di età in età, gli europei hanno rifiutato l’insulto fatto all’uomo. E la gioventù anch’essa ha ereditato questo rifiuto.
Pensiamo noi ai giovani che dovranno continuare questa Europa di cui stiamo parlando, di cui firmiamo gli atti? Pensiamo noi a condividere con loro la storia che abbiamo condotto fin qui? Che cosa ne abbiamo fatto dell’eredità che avevamo ricevuto? Pensiamo che abbiano diritto all’esperienza pratica di cui avranno bisogno per guidare gli affari dell’Europa?
Noi dobbiamo essere sinceri con loro. E’ un loro diritto, ma soprattutto è il diritto dei più poveri. Essi hanno il diritto di poter contare su una gioventù che non li abbandoni in questa Europa dell’assistenza in cui li abbiamo relegati. Devono contare su una gioventù che riprenderà da noi la buona volontà, alla quale malgrado tutto, noi crediamo e che in modo imperfetto, discontinuo abbiamo realizzato per quanto concerne i diritti dell’uomo. Ma anche su una gioventù che corregga i nostri errori e superi i nostri limiti dei quali noi stessi siamo consci.
Il Volontariato ATD Quarto Mondo è uno di quei luoghi dove l’informazione si diffonde, dove l’esperienza procede di giorno in giorno, dove si crea l’impegno per una Europa che metta i più poveri in primo piano. Questo Volontariato, nato negli stessi anni della Comunità Europea, è stato europeo sin dall’inizio. I cittadini che allora si impegnarono non hanno mai creduto che la grande povertà fosse un problema nazionale da regolare, caso per caso, da ciascun paese. Francesi, tedeschi, olandesi, belgi, britannici… di fronte all’offesa fatta ai loro compatrioti, si sono riuniti tra loro naturalmente perché la grande povertà era negazione dell’uomo, dei suoi diritti e responsabilità e, di conseguenza, la negazione di 2000 anni di storia europea. Accettando questa negazione, l’Europa non poteva essere credibile. Il volontariato ATD continua. Giovani d’allora vi hanno speso la loro vita di adulti, di difensori dei diritti dell’Uomo. Giovani di oggi continuano a seguirli, non tanto per conoscerne l’esperienza ma per l’esempio della loro vita, la loro lotta, la gioia di vivere, la loro fedeltà.
Costruire l’Europa è anche sostenere con ogni mezzo questo Volontariato, nato dalla storia europea. E’ la nostra garanzia che questa storia nella quale abbiamo operato, valga la pena di essere conosciuta e che, per far meglio in avvenire, le porte sono rimaste aperte.